Periodo: 27 dicembre 2008 – 6 gennaio 2009

Partecipanti: Luka79 e TommiVigor

 

Report viaggio in Tunisia

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(ovvero)

 

“Non bastano tutti i cammelli del deserto per comprarti un amico”.

(Proverbio tuareg)

                                                                                  -intro, Marrakech Express-

 

Como – Genova (gg 1)

 

Il grande freddo. Non c’è altro da dire se non questo. Pensavamo peggio in realtà, ma anche così era tanto, e tanto di fila.

 

 

Poi arrivi al mare e vedi la nave. Bellissima (non è vero), grande e piena di gruppi. Un casino di moto e jeep preparate, sospensioni, serbatoi, gomme..

La nave dovrebbe partire alle 15.00 quindi ci arrangiamo per il pranzo. Poi invece una volta a bordo si pranza anche col gruppo (SaharaDream, ci hanno preso i biglietti cumulativi per risparmiare qualcosa).

Cenare a bordo quando ancora sei fermo al porto di Genova è un po’ come andare al ristorante. E, se Dio vuole, alle 16.45 la nave salpa davvero! Siamo in giro dalle 9 di stamattina e il viaggio comincia solo adesso.

Solo ora possiamo dire che andremo DAVVERO in Africa..

Lasciandoci alle spalle la neve di casa

 

 

 

Tunisi – Le Kef (gg 2)

 

Salutati i compagni di viaggio e la nave del vizio (si poteva fumare a bordo) incredibilmente in mezz’ora dopo aver attraccato siamo scesi e sdoganati.

E qui la prima sorpresa: il GPS non funziona!

Ora, se Tunisi fosse un paesino, trovare la strada giusta sarebbe uno scherzo. Così invece ci mettiamo un’ora e mezza a trovare la direzione giusta. Però perdersi fa sempre bene, siamo passati in mezzo a quartieri assurdi, con bancarelle di cose ammonticchiate a bordo strada.

Passiamo dal mare alle montagne. Infinite, desolate, strada nel nulla e verso il nulla, ed è già buio.

Seguo il mio socio in quell’attimo indefinito in cui il sole è già tramontato ma c’è ancora luce. Un sole che non se ne vuole andare e una notte che non vuole cominciare.

Un attimo dopo è buio pesto.

Ci perdiamo quindi la visita alle rovine romane di Dougga (sarà per la prox volta…). Ogni tanto si intravede un arco, o qualche rovina, e arriviamo a Le Kef.

Subito tre abitanti si propongono di farci da guida o trovarci un albergo. Decliniamo, gentilmente, e alloggiamo all’albergo Les Pins, che ci indirizza poi a una locanda (Ristorante Venus) per la cena.

Conosciamo i primi italiani.

Le montagne, sono assolutamente da vedere. Rimandato al prox viaggio anche il villaggio termale poco dopo Le Kef.

 

 

Le Kef – Tozeur (gg 3)

 

Scopro che questi tunisini sono un po’ dappertutto. Anche quando pensi di essere in un posto così isolato e in mezzo al niente e di esserti lasciato dietro ogni presenza umana, non fai a tempo a fermarti 5 minuti che arriva qualcuno a parlare, sperando di avere la mancia in cambio di qualche indicazione.

Altra cosa da dire: non basta legare una bottiglia di acqua con gli elastici, bisogna proprio infilarla in qualche sacca pena perderla in giro e non averla a disposizione quando ne hai bisogno.

Detto questo, giornata fantastica. Abbiamo cambiato paesaggio almeno tre o quattro volte, dalle montagne a valli intere di fichi d’India, alla prima sabbia (di un fiume in secca) alle oasi, ai chott.

La strada, ancora asfaltata, è in effetti un po’ tutta dritta…

 

 

 

Dopo esserci persi all’inseguimento di una pista ex-Parigi-Dakar, proseguiamo per l’oasi di Tamerza dove all’alba delle 4 di pomeriggio posso finalmente bere di nuovo.

 

A metà strada tra Tamerza e Tozeur costeggiamo il Chott El Gharsa.

Ci fermiamo, ci guardiamo in faccia, e ci buttiamo dentro d’un fiato per fare qualche chilometro e prendere confidenza. Divertentissimo (e pantanoso). Da provare!

 

 

Prendiamo stanza a Tozeur, il primo paese veramente “arabeggiante” se mi passate il termine. La Mediana è uno spettacolo, da vedere.

Di tutta la gente che c’era in giro quando siamo arrivati, dopo il tramonto non si vede più nessuno. Qualche anima rintanata nei cafè, ma tutti gli altri dove sono finiti? Mistero..

 

Tozeur – Nefta (gg 4)

 

In realtà non abbiamo fatto solo i pochi km che separano le due oasi, oggi la Prima Vera Pista.

Dal Chott El Gharsa parte una pista di circa 40/50 km che si ricollega poi alla pista di Rimmel (presa da sud).

Chiazze bianche sulla traccia, il sale è bianco come il ghiaccio ma la moto tiene bene, quindi via che si apre!

 

 

Terza, quarta, non ci mettiamo molto ad arrivare all’imbocco della Rimmel. Che è cementata, in mezzo a montagne rocciose tipo canyon.

 

 

 

Si sbuca a Redeyef, collegamento a Tamerza dove visitiamo la Grande Cascade (in realtà è di solo pochi metri…)

 

 

e prendiamo stanza a Nefta.

 

 

Ancora una volta mollati i bagagli possiamo andare a vedere il set di Star Wars, 20 km fuori città collegato da una pista.

Dal nulla spuntano i soliti bambini che ti si parano davanti; mentre più a nord chiedevano solo un soldo o una caramella, qui chiedono proprio del cibo…

La pista è di sabbia, la moto galleggi bene ma le mille tracce di fuoristrada ci fanno scegliere di abbandonarla e costeggiarla un po’ più in là, dove almeno la sabbia è fresca e intonsa.

 

E poi le vedi avvicinarsi da lontano, signori e signore, le nostre prime dune!

Cominciamo a fare gli scemi su e giù, come fanno anche le frotte di turisti portati lì con jeep e quad noleggiati. La Domi si arrampica anche su per muri di sabbia di 4 o 5 metri, un po’ come riesce a scalare gli stessi dislivelli (di terra) nei boschi nostrani. Fantastico!

 

 

Torniamo all’albergo di Habib (20 dinari camera con doccia per due persone) che ci farà mettere le moto DENTRO il Cafè (lui non ha il garage) e ci indirizza al miglior ristorante dell’oasi (8 dinari cena per due persone J.

 

Nefta – Douz (gg 5)

 

Il giorno più lungo.

Comincia strano, con la colazione nello stesso Cafè dove han dormito le moto.

Vogliamo costeggiare il Chott su una pista non segnata sulle cartine (ma abbiamo la traccia, grazie ad Admo). All’imbocco c’è un posto di blocco, gli sbirri non fanno passare nessuno per la pista. Ci tocca tirarci fuori qualche km, buttarci a naso in mezzo al nulla, e seguire il gps per ricollegarci alla pista lontano da occhi indagatori.

Sarà lunga altri 70 km circa. Comincia con terra, poi sabbia su terra, poi un erg brullo con pietre aguzze e jeep dei viaggi organizzati in senso contrario.

Tutto sommato veloce. Mattinata archiviata.

Luca prova a inseguire un cammello per toccarlo, ma questo scappa terrorizzato dal rombo del motore…

 

 

 

Lasciamo i bagagli a Douz in albergo, e a pranzo incontreremo gli stessi italiani visti a Le Kef.

Salutiamo in tutta fretta e partiamo per la Cava delle Rose del Deserto.

Dopo i primi 40 km di asfalto (checcavolo!) parte la pista. Inizia con terra bagnata misto sabbia, poi si trasforma in una sabbia bianchissima e finissima tipo farina (fesh-fesh?). Le moto arrancano abbastanza, ma è sempre dura ascoltare quella vocina che ti dice di rinunciare a qualcosa cui tieni, per cui testardi ci diamo ancora mezz’ora.

Intanto il tempo passa, e mancano ancora circa 9 km alla cava. Negli ultimi 10 minuti ne abbiam fatti poco più di 2, inutile dilungarsi o ci troveremo qui in mezzo col buio. Dovevamo partire prima e forse anche digiuni per avere il tempo necessario, ma chi se lo immaginava di trovare questa sabbietta bastarda! Cavolo… che tristezza… dietrofront!

Ma anche tornare indietro non è così semplice. La moto di “mon amis” si affossa ancora, non prende più i giri, il motore non la tirerà fuori da lì!

 

 

 

Controllo alla cassa filtro: piena di sabbia come ci si aspettava. Olio che bolle. Che si fa?

Luca (da buon ingegnere) sarebbe pronto a operare a “cuore aperto” (giù il carburatore) in loco, poi si vedrà. Ma ci rendiamo subito conto di essere nel deserto, con mezza bottiglia d’acqua in due, e che sono già le 5 di pomeriggio e tra poco più di mezz’ora sarà il tramonto!

A malincuore abbandoniamo il cavallo meccanico al suo destino, e speriamo di raggiungere la salvezza a bordo dell’unica moto rimasta.

Sempre che non si fotta anche lei.

Sempre che ci porti in due su quella sabbia bastarda senza affossarsi e senza fondere.

 

 

Luca raggiunge sconsolato la “salvezza”, Domi III serie batte Domi II serie J

Riusciamo a uscire senza il GPS (l’alimentazione è sulla sua moto, e non abbiamo le pile..). Dopo aver sudato 7 camicie per tornare al primo paese, ci aspettano altri 40 km per tornare a Douz e cercare soccorsi per la moto, sudati come cammelli (io mi prenderò la febbre, credo, e me la porterò in giro un paio di giorni).

 

Mille ipotesi su cosa fare. Il ragazzo dell’albergo si dice disposto a chiamare un amico che con un pickup 4x4 ci porterà a recuperare la moto IMMEDIATAMENTE, pena non trovarla più domattina grazie a predoni, o piccoli arraffoni.

 

E’ la notte di capodanno. L’amico jeep munito sarà una guida di Timbaine, non dimenticheremo il suo nome: Fredjeni, come guidava lui neanche i piloti della Dakar.

E così partiamo alla ricerca della moto, avendo avuto il buon gusto di segnare il waypoint di dove si trova: capodanno su una vecchia e scassatissima Toyota, Luca, Mahmud (l’albergatore), Fredjeni ed io. Di sicuro un capodanno diverso dal solito.

 

La nostra prima notte nel deserto. E’ vero, le stelle si vedono in un modo incredibile, non si può descrivere a parole.

 

E dopo esserci persi un tot di volte nei mille bivii della pista, eccola lì! La Domi!

Carichiamo e portiamo a casa. Domani penseremo a sistemarla.

 

 

Douz (gg 6)

 

Ebbene sì, tappa forzata un altro giorno a Douz per riparare la moto.

Sklero aggiuntivo, bisgona ripararla per forza perché è segnata sul passaporto di Luca, e dovrà presentarla se vuole tornare in patria.

Cominciamo a inventarci qualcosa per ovviare al fatto che nella confusione di ieri sono andate perse le chiavi… Ancora una volta il nostro amico dell’albergo si rivela provvidenziale, ci porta da un meccanico che con pochi attrezzi, del cavo elettrico e un interruttore fa ponte al blocchetto di avviamento.

Ora possiamo pensare al motore.

Smontiamo ancora il filtro, è sempre pieno di sabbia, spero il problema sia slo il carburatore sporco. Dopo una mezz’ora a smontare pezzi, finalmente abbiamo il carbu in mano: sì, effettivamente in depressone è pieno di sabbia, lo facciamo pulire dal meccanico con aria compressa… Passiamo un bel po’ di tempo a rimettere in sieme il tutto…

FUNZIONA! Possiamo ripartire!

Festa grande all’albergo Le Tente, usciamo a festeggiare a uno dei cafè della zona dove si fa il carnevale di Douz, il nostro nuovo amico vuole provare la moto (dopo che è un giorno che diceva di volerla comprare!). Ci tocca comprare a malincuore le rose del deserto che avremmo voluto invece raccogliere con le nostre mani. E vabeh.

Ma c’è un’altra incognita… ci viene in mente che la chiave serve, oltre alla messa in moto, anche a fare benzina! Come si fa?

Luca trova un artigiano che apre in due l’ormai inutile blocchetto, fa il calco, e partorisce una chiave nuova fiammante. MacGyver je fa’ ‘na pippa J pronti a ripartire. Unica incognita: la Domi resisterà ad altra sabbia??? O si riempirà di nuovo??

 

 

 

Douz – Ksar Ghilane – Matmata (gg 7)

 

Dopo gli ennesimi controlli e i saluti al nostro amico albergatore (la sera prima ha diviso con noi un pane del deserto, cotto nella sabbia: secondo la tradizione ora saremo amici per sempre..) si parte.

Abbiamo deciso di non rinunciare alla pista per Ksar Ghilane, nonostante l’incognita-moto. Ci attendono 120 km di pista.

I primi 30 km scorrono bene, fino al Cafè de la Port du Desert, dove incontreremo ancora gli stessi italiani già visti altre volte.

 

 

Primi 30 km archiviati, ma non senza sudare. Io, che ancora non mi fido finchè non capisco bene come reagisce la moto su sabbia, il mio socio, che ancora non si fida a tirare il collo alla sua moto.

 

Dopo un paio di tè, raccogliamo le forze e partiamo ancora.

Grandi dune, sabbia a volte cedevole, e soprattutto con le moto stracariche. Guardiamo con invidia le “cavallette” che il gruppo di italiani in viaggio con la Perego ha preso a noleggio, dei 450 da enduro leggeri e scarichi. E vabeh, il nostro viaggio è di tutt’altro tipo.. Ma infatti è un po’ un casino.

Ci abbiam messo quanto ci abbiam messo, caxxo. Però che soddisfazione!

 

 

L’arrivo a Ksar è fantastico! Il castello, e la pozza, e gruppi di enduristi che arrivano per fare il bagno.. La prima VERA oasi, senza corrente e cellulari a rompere le scatole.

 

 

Niente alberghi, solo campeggi (prezzi alti, quasi quanto gli alberghi di lusso delle altre città).

Panino ristoratore con salame emiliano offertoci dalla Perego, conosciamo anche Aldo, un genovese che si è traferito in Tunisia e ha un B&B a Tataouine.

A malincuore, a causa del freddo che immagino scenda la notte nei tendoni non riscaldati, a causa della mia febbre residua, convinco il mio socio a tirare ancora qualche km e raggiungere un albergo.

Arriveremo quindi alla bellissima Mattata (già col buio…) città berbera dall’accoglienza incredibile dovuta al turismo.

E infatti al ristorante troveremo un gruppo di italiani casinisti: non ci siamo più abituati.

Peccato anche non avere qualche giorno in più per fare le piste attorno a Ksar, ma non vogliamo compromettere il già precario equilibrio della moto che finora non ha accusato cedimenti. Ma casa è ancora lontana..

Ecco l’albergo di Mamtata. Fantastico, e a basso prezzo.

 

 

 

Matmata – Kairouane (gg 8)

 

La strada scorre tranquilla, me l’aspettavo molto più lunga e meno agibile, invece è tipo una nostra superstrada solo che qui si passa proprio in mezzo ai paesi.

Così scorre Gabes, vista in fretta e a 100 all’ora. Scorre il Governatorato di Sfax, che ricordo per la povertà dei paesi, molto più che in altri posti (4 case, tutte lungo lavia principale, e banchetti con taniche di benzina o acqua o bollitori di tè che sperano di vendere ai passanti).

Scorre la mattina, col vento contrario, e i banchetti di benzina cedono il posto a quelli di ortaggi. Siamo a 30 km da Kairouane e l’agricoltura sembra fiorente. Montagne di carote, e cipolle, e capanne intere tappezzate di peperoncino. Peccato non avere la digitale a portata.

Arriviamo in città e andiamo verso la Medina. Dai sobborghi con case in rovina e case mai finite di costruire, allo sfarzo delle mura, a quello di un albergo a 5 stelle che non ci avrà ma ha accalappiato già tante jeep francesi.

Visita alla Medina; ci adesca un ragazzo che vuole farci da guida, e ci diciamo perché no, non l’abbiamo mai fatto. Per 5 dinari vediamo angoli dove non ci saremmo mai addentrati, immagino. Il mercato coperto, il pozzo azionato da un cammello, tante dell 45 moschee presenti in centro.

D’altronde questa è una delle 5 perle del Corano!

 

 

 

Matmata – Tunisi La Goulette (gg 9)

 

Oggi non sappiamo cosa fare, dobbiamo riempirci la giornata. Le idee sono di allungare il giro al mattino, visto che siamo a 150 km da destinazione e abbiamo 24 ore prima di salire sulla nave. Magari passare dalle terme di Hammam o dal sito coi resti romani di Thuburbu Majus.

Dopo lauta colazione (lo chef ci ha fatto le crèpes), vediamo che la foratura di un paio di giorni prima, riparata col fast, necessita di nuova camera d’aria.

Ne abbiamo solo una da 17 e mancano ancora un tot di km, così ne cerchiamo una in città… che non si trova! Tutti mettono solo le toppe. E allora ci tocca sacrificare l’unica a disposizione e sperare di non forare più.

Ri partiremo due ore dopo, con un chiodo in meno nel copertone (ma chi cavolo può aver lasciato un chiodo sulla pista???).

Ok, basta divagazioni, tiriamo dritto a Tunisi (insh’allah).

Visita a Cartagine, al bellissimo paese di Sidi Bou Said (dove risiede il Presidente Tunisino) e ultima mangiata in terra africana.

La vacanza è proprio finita.

 

Ritorno in nave (gg 10)

 

Tranquillo. Ondeggiante.

Domani danno neve in Italia e vediamo come andrà a finire.

Mille pensieri, dal ritorno alla “civiltà”, al ritorno alla solita vita, lavoro, Como, Milano…

Questi giorni non hanno niente in comune con quello che già conoscevo e mi sembrava così normale.

Chissà quando potremo stare ancora là fuori, da soli, in mezzo al niente. Sentire fischiare le dune. Contare l’acqua rimasta, la benzina, i km a destinazione, cercare una pista che non si vee ma dovrebbe essere circa 800 metri in quella direzione..

E intanto la nave ti culla. Mangiare – fumare – dormire.

Dopo il gran mare di sabbia, il mare. Quello vero, che impari a conoscere da bambino e per quello, forse, sembra più familiare.

Il ritorno in nave. Lento, tranquillo, ondeggiante. Quello che ci vuole per un lento rientro alla normalità. Svegliarsi domattina e avere ancora un po’ di tempo prima di arrivare a destinazione.

I compagni di viaggio che, come te, sono partiti a cercare sabbia e come te sono già di ritorno. Proiettati verso quello che faranno per tutto un anno, con negli occhi il sogno di qualche altro giorno tra le dune.

 

Ritorno a casa (gg 11)

 

Come promesso, neve.

La strada è tranquilla fino a Tortona, poi peggiora fino a Milano, poi è neve fresca appena molli l’autostrada e devo raggiungere il paese. Ultimi km con seconda innestata al minimo e piedi giù pronti a correggere eventuali errori.

E’ la befana. Qualcuno in giro a piedi mi guarda con faccia interrogativa: caxxo ci fa uno in giro in moto con le tassellate e i bagagli??

 

 

Ma è bello ritrovare, una volta tornati, la stessa neve che ci siamo lasciati alle spalle quando siamo partiti.

 

 

Epilogo

 

Ricorderò per sempre la prima volta in Africa.

Il mio amico, e compagno di mille avventure (per fortuna finite tutte bene).

La mia moto, bellissima, affidabile, che ci ha letteralmente salvato quando ce ne è stato bisogno.

Volevano comprarmela in Africa, ma credo e spero di non cambiarla mai. Anche se è pesante per fare questi tracciati. Anche se consuma più di quello che dovrebbe. Anche se ci sarebbero una caterva di altri “anche se”.

Inutile provare a descrivere le sensazioni provate in questi giorni, sarebbero solo parole, e non rendono neanche lontanamente l’idea di quello che sono state in realtà. Come una fotografia per quanto bella non è che un surrogato del ricordo legato ad essa.

Che dire, ragazzi, andateci!

Noi non abbiamo fatto niente di speciale o particolarmente impegnativo, ma come priam esperienza devo dire è stata molto appagante, e ci ha messo in testa l’idea di tornarci. Ancora, e ancora.

Ancora non siamo tornati e già stiamo parlando del prossimo viaggio. Come sarà, dove e con chi.

Forse è questo che chiamano “mal d’Africa”. La forza potente che spinge chi ci è stato a tornarci.

Ne ho già voglia adesso. Anche se in questi 10 giorni abbiamo fatto poco più che una scampagnata. Anche se, come abbiamo detto spesso, “dobbiamo guadagnare almeno un paio di marce”.

 

Un grazie di cuore al mio compagno di viaggio, senza il quale non sarei mai andato in Africa.

Grazie a tutti gli amici che ci hanno dato consigli, di viaggio, o itinerario, o qualsiasi altra cosa che ci è poi stata di fondamentale importanza sapere prima: Lele, Juna, Walz, gli amici del pub di Premenugo.

Un ringraziamento particolare al Maestro ADMO, per la disponibilità, per averci dato una mano a fare l’itinerario, per le tracce e i waypoint che ci ha girato, per averci insegnato a usare OziExplorer e altro che di sicuro ha fatto ma con la testa che ho non ricordo.

 

By Tommivigor

 

 

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